Mi chiamo Francesca e ho 42 anni. Ho 42 anni, ma mi sembra di aver iniziato a vivere solo adesso. Si perché 23 li ho passati vittima di una tremenda malattia. Anoressia.
Mi sono ammalata quando avevo solo 17 anni e da allora, fino a 40, non è piu stata vita. Dentro e fuori da centri di cura e ospedali, chiusa in casa, concentrata solo sul male che mi opprimeva.
Anoressia non vuol dire “voglio fare la modella” come è il messaggio che passano i media. Del corpo e delle forme non te ne frega proprio niente. Io non mi vedevo neanche. Tante volte mi son messa davanti allo specchio, nuda, a guardarmi e cercare di vedere quello che gli altri vedevano (uno scheletro) ma non mi vedevo. Anoressia è un male dell’anima, della psiche, che poi si ripercuote sul corpo.


Vuol dire detestarsi, non avere la minima fiducia in se e nelle proprie possibilità, vuol dire ritenersi inutili e non degni di esistere. Vuol dire non avere stimoli, non avere emozioni, non avere nulla che dia gioia. Ogni giorno è uguale al precedente e al successivo, piatti, senza scopi e progetti.
Tante volte sono andata a letto la sera pregando di non svegliarmi al mattino: che senso ha vivere se non hai uno scopo?? Nessuno. Passavo le mie giornate vagabondando x casa o trascinandomi fino a sera, sperando solo che arrivasse il momento della notte, del buio in cui potevo annullarmi.
Non so perché mi sia capitato questo. Vengo da una famiglia fortunata, ho avuto una infanzia felice e i miei genitori sono in assoluto i migliori della terra. Forse ero destinata. Forse è una prova che dovevo superare x arrivare a scrivere questo blog. Non lo so e sinceramente ora non i importa. Basta che sia finita.
Credetemi, l’anoressia è peggio di un cancro. Il cancro lo combatti, lotti per sconfiggerlo. L’anoressia no. E’ una cosa che ti cresce dentro, come una “gemella interiore” che ti dilania la mente.


Una parte di te sa che lasciarsi andare cosi è sbagliato che fa soffrire chiunque ti circonda, amici e familiari in primis. Eppure la seconda metà, la metà malvagia, se ne approfitta, ti dice che sei colpevole ancora di più perché rechi dolore a chi ti vuole bene, e allora meriti ancora meno di vivere perchè sei “cattiva”.
E’ come una spirale, un circolo vizioso: piu stai male, piu ti senti in colpa, e piu ti auto-punisci.


Il cibo e il corpo??? Chissene importa??? Erano un riflesso. Non mangiavo perché non avevo stimolo a mangiare e il corpo non lo vedevo o lo vedevo solo come lo specchio di una persona cattiva e inutile e incapace.
Con questo stato di animo mi son trascinata dai 17 ai 40 anni suonati.
Ho toccato la squallida e vergognosa cifra di 20 kg per un BMI inferiore a 8 (quando il limite minimo sarebbe 18…). Mi sono procurata un livello di osteoporosi da guinness dei primati, perché se non nutri il corpo col cibo, questo si auto mangia. E io mi son mangiata fino le ossa, con ovvie conseguenze di fratture e dolori continui.
Ero arrivata al punto che non potevo uscire di casa perché manco avevo la forza di fare il gradino del marciapiede.
Ed ero sola, completamente sola. Si, i miei genitori non mi hanno mai abbandonato. Ma tutti gli altri? Nel vedere la mia malattia la gente si spaventava, scappava. Li capisco. Chiunque vorrebbe essere circondato solo da cose allegre e la malattia, qualunque essa sia, fa paura. Non ne faccio una colpa a nessuno. Solo ciò peggiora la situazione, perché la “gemella interiore cattiva” rincalza il suo disco con il “ecco sei sola perché non vali niente!”. E si torna al circolo vizioso.
Poi a un certo punto la catena si è interrotta.


Ero in casa, come sempre, annoiata , attaccata al calorifero per dare un briciolo di calore al mio povero corpo, e chissà perchè mi sono messa a fare uno di quei budini in busta. Non so cosa ci facesse in casa. Non ho mai cucinato, figurarsi, una foglia di insalata o una mela erano già troppo per me. Forse lo avevo comprato per gola, in un raptus al supermercato, un po come quelli che si coprano il tacco 12 sperando che li renda delle superstar e poi non lo usano perché non sanno starci in piedi e preferiscono le solite ballerine.
Comunque mi ricordo che ho fatto questo budino e per la prima volta in 23 anni, sono stata bene. Mi sono divertita, ho passato tre ore a bagnare lo stampo, sciogliere la polvere, bollire il latte…
Insomma ero concentrata su qualcosa esterno ai miei problemi. E per di piu muovendo le articolazioni, per tre ora non ho nemmeno sentito male alle ossa. Per non parlare poi della soddisfazione del risultato! Intanto avevo creato qualcosa da me – capirai, un budino in busta!!!! Ora mi fa ridere ma allora, per me che non sapevo fare nemmeno un uovo sodo, mi era parso….woooow!
E poi i complimenti dei miei familiari, che per la prima volta mi avevano visto ai fornelli e da strepitosi genitori quali sono sempre stati, mi hanno riempito di complimenti!
Beh, quello è stato il trampolino di lancio. Ho iniziato a interessarmi di pasticceria. Ho studiato libri, letto articoli, visto video. Ho iniziato a fare i miei primi intrugli.
Allora mi parevano pure squisiti – adesso con gli occhi di una che un pochino di piu di cucina ne mastica, dovevano essere vere schifezze.
Ma io ero felice. Non andavo piu a letto sperando di non riaprire gli occhi, ma anzi speravo venisse presto il mattino per provare una ricetta. Per la prima volta avevo dei progetti.
E pian piano, capivo che per cucinare servono energie. Non la tiri una frolla, non lo fai un pane, se manco riesci a fare il gradino del marciapiede e se ti capita di svenire per casa!!!
Ho fatto “pace” col cibo, ho lentamente iniziato a recuperare peso.
E più il mio fisico si nutriva, piu riuscivo a impastare e fare prodotti “decenti” e quindi piu stimoli avevo a continuare e piu mi sentivo “brava”. La gemella cattiva era stata relegata in un cantuccio della testa e la sua voce era sempre piu flebile.
Il circolo vizioso si era invertito. Anche al supermercato, non leggevo piu le etichette nutrizionali cercando le calorie, ma guardavo le proteine della farina e i grassi della panna. A scopo cucina ovviamente.
E i dolori? Sono andati sparendo. Si, non cancelli una osteoporosi di anni in un batter di ciglia, ma il lento movimento dell’impastare, l’essere concentrata su una ricetta, non mi facevano pensare al male. E lentamente ho abolito i farmaci di cui ero dipendente, quasi “drogata”.
Non solo. Tutti coloro che mi avevano allontanato, per paura, mi si sono riavvicinati. Il fatto che fossi diventata una persona allegra, piena di iniziative e stimoli, con interessi diversi dal peso, beh, ha fatto da catalizzatore.
Anche se devo dire che io stessa ero cambiata. Prima vivevo per il giudizio altrui. Compravo un vestito se pensavo potesse piacere a altri, mi pettinavo in un certo modo credendo fosse cosi che mi volevano, facevo quello che reputavo potesse attirami simpatie. Perché ero sola e cercavo disperatamente di piacere e farmi amici.
Adesso non piu. Ho la mia cucina. Ho maturato una certa sicurezza in me stessa. Non mi serve il giudizio degli altri. Che non vuol dire che me ne frego. Semplicemente che ho imparato a agire come mi detta il cuore, a fare quello che fa star bene me, e non quello che penso possa piacere a altri.
Sono consapevole dei miei limiti, ovvio. Per esempio in arte faccio schifo, non farò mai dei biscotti decorati con la ghiaccia fatti bene, non sarò mai la regina della sac a poche. Ma mi accontento. In compenso sono un tipo creativo e mi diverto a modificare le torte che vedo in fotografia, a non riprodurre una ricetta come da copertina.
Anche questo è fonte di gioia. Imparare a accettarsi, nel bene e nel male. Capire di aver già fatto progressi, giorno dopo giorno, è un grande stimolo a continuare.


Grazie a quel budino, io ora sono una persona sana. I miei esami del sangue sono regolari. Non prendo piu farmaci. E soprattutto HO UNA VITA!!! Ho sogni, progetti, iniziative, idee…
Insomma la pasticceria mi ha salvato la vita.